Oltre 200 sondaggi del terreno per un totale di 11.642 metri di perforazioni. Sono alcuni dati degli studi compiuti nell’area dove potrebbe sorgere il Ponte sullo Stretto, ricerche che rendono il livello di conoscenza della geologia e della geotecnica dell’area intorno all’opera superiore a qualunque altra zona del Mediterraneo. E, soprattutto, contraddicono le obiezioni su eventuali rischi legati a un’attività sismica nella zona o a spostamenti tettonici.
A condurre le attività, la società Stretto di Messina Spa ed Eurolink, il consorzio che fa capo al gruppo Webuild e al quale era stata affidata la costruzione del Ponte sullo Stretto, in collaborazione con l’università degli studi di Catania, La Sapienza di Roma, i laboratori Ismgeo di Bergamo e l’Università Federico II di Napoli. La riapertura del dibattito sulla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina può vantare un punto di arrivo raggiunto dopo anni di lavoro sul progetto definitivo che era stato già stato autorizzato dal Cipe nell’agosto del 2003. Nell’ambito di quel progetto, tra gli anni 1984 e 1992 erano state condotte una serie di campagne di indagini geognostiche, necessarie per lo sviluppo della progettazione preliminare del ponte. Proprio la delibera approvativa del Cipe aveva chiesto al consorzio un approfondimento sul contesto geologico-strutturale e sull’evoluzione geodinamica dell’area dello Stretto.
La risposta è arrivata al termine di una intensa campagna geognostica, condotta attraverso sondaggi e perforazioni, quasi tutte effettuate a rotazione e a carotaggio continui. Studi coordinati dal professore Fabio Lentini, già ordinario di Geologia all’Università di Catania, e dalla professoressa Francesca Bozzano, ordinario di geologia applicata alla Sapienza di Roma.