sabato, Novembre 23, 2024

Idrogeno, energia per il futuro dell’industria italiana

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Alberto Dossipresidente dell’associazione H2IT, ci spiega l’importanza strategica di un elemento cardine della transizione ecologica nella vita di tutti i giorni e nell’industria del futuro. Per una rivoluzione che parte dall’Europa, con l’Italia potenziale protagonista in prima linea

Si scrive H2IT e questa denominazione sintetica e di sentore inconfondibilmente scientifico corrisponde all’Associazione Italiana Idrogeno e Celle a Combustibile, costituita nel 2005 come realtà consociativa autonoma che promuove l’idrogeno nelle sue istanze di ricerca tecnologica e nello sviluppo dei sistemi di produzione e di utilizzo per un elemento fondamentale dell’attuale transizione energetica globale. Da sempre H2IT si è posta l’obiettivo di stimolare la creazione delle infrastrutture necessarie per l’impiego dell’idrogeno nella nostra vita quotidiana – nei sistemi di mobilità, ad esempio – e nell’ambito dell’industria nazionale, facendosi portavoce degli attori del settore e assicurando un ruolo di leadership per l’Italia nel mercato mondiale.
Abbiamo intervistato il presidente di H2IT, Alberto Dossi, per disegnare, con il suo aiuto, un quadro il più possibile esauriente delle dinamiche di sviluppo dell’idrogeno nelle strategie europee di riforma delle fonti energetiche. Naturalmente, dalle sue parole è scaturita anche la vicenda virtuosa di un’associazione che ha saputo, lungo 20 anni di storia, promuovere e conferire impulso alle azioni di sviluppo dell’idrogeno in Italia e nell’ambito delle politiche europee dedicate alla sostenibilità ambientale.

Presidente, qual è lo stato dell’arte dell’idrogeno nel panorama di trasformazione energetica che coinvolge l’Europa?
L’idrogeno ricopre un ruolo chiave nella transizione energetica, anche tenendo conto dei piani di integrazione alla ripresa economica del nostro Paese. L’Italia può giocare un ruolo fondamentale nella partita europea dell’idrogeno, contando su una filiera industriale già completa e integrata e su centri di ricerca dalla rilevanza internazionale; il fattore chiave dovrà essere quello di un chiaro indirizzo politico che sappia valorizzare le tecnologie verdi secondo il principio della neutralità tecnologica, all’interno di un’azione nazionale coordinata e integrata. H2IT continua ad aggregare competenze per supportare lo sviluppo del settore in Italia; attraverso tavoli di lavoro interni, sta lavorando all’elaborazione delle priorità nazionali di intervento sulla filiera dell’idrogeno relativamente alle necessità del settore sugli aspetti legislativi, regolatori e normativi, con l’identificazione di proposte sia di natura giuridica che economica.

Quale ruolo ha svolto H2IT, nel contesto generale di cambiamento degli ultimi anni?
Dalla sua costituzione, nel 2005, l’associazione è passata attraverso un lungo periodo di rodaggio. Dopo 10 anni, nel 2015, finalmente l’Europa si è svegliata e la Ue ha decretato l’inizio della decarbonizzazione a livello strategico, indicando le tappe fondamentali di una vera e propria transizione energetica attraverso la direttiva DAFI sui combustibili alternativi. Tra biometano e bioGNL, l’idrogeno è rimasto comunque tra gli elementi facoltativi, a discrezione dei singoli stati membri. Come presidente di H2IT, dal 2015 a oggi, mi sono confrontato, a livello nazionale, con ben cinque esecutivi, dal governo Renzi a quello Gentiloni, dai due mandati di Conte fino all’attuale governo Draghi. Oggi, i progressi della nostra azione di impulso si rivelano finalmente significativi. Come associazione, ci collochiamo in una posizione di collegamento tra la parte industriale della filiera dell’idrogeno e la parte istituzionale della politica e delle decisioni che le competono. Nel 2016 siamo riusciti, in primis, con il varo del Dlgs n. 257 del 16 dicembre, a spingere l’Italia ad accettare la direttiva DAFI anche con l’inclusione dell’idrogeno come combustibile alternativo.

Che progressi ha fatto l’associazione, dalla sua costituzione a oggi e quali direttrici sta seguendo attualmente?
Al momento del mio insediamento alla presidenza, l’associazione contava 20 soci. Oggi H2IT ne comprende 95, con la prospettiva di superare i cento per la fine dell’anno in corso. Possiamo dire che questi cento associati costituiscono l’anima industriale dell’associazione, composta da grandi, medie e piccole aziende del settore. Tutti i comparti sono compresi in questa anima industriale, dai protagonisti della produzione, alle imprese dedicate alla distribuzione, fino alle realtà che si occupano dello stoccaggio, per concludere con le stazioni di rifornimento e con gli utilizzatori finali. All’anima industriale di H2IT si affianca l’anima della ricerca – con il vicepresidente dell’associazione, Luigi Crema, a capo anche del Comitato Scientifico dell’associazione -, un’anima che comprende centri di ricerca primari, le maggiori università italiane e i cluster tecnologici. Una terza anima, altrettanto fondamentale, è quella europea che ci vede associati a Hydrogen Europe, l’entità che raccoglie la rappresentatività industriale e le istanze di ricerca di tutti i singoli paesi del continente allo scopo di armonizzarne le direttrici sulla via dell’idrogeno.

Che entità di impegno attende il futuro di H2IT, sul fronte della transizione energetica?
Dopo due mandati – e con la soddisfazione di aver guidato nel 2015 il Comitato di indirizzo strategico mobilità idrogeno Italia che portò all’accoglimento della DAFI da parte del nostro Paese -, posso dire, come presidente, di aver portato l’associazione a nuove frontiere di consapevolezza. Questa consapevolezza comprende la necessità che le grandi realtà energetiche nazionali sposino la causa dell’idrogeno per trainare la catena di trasmissione industriale verso l’innovazione che comporta una scelta così fondamentale. Nel luglio scorso è nato finalmente il Piano dell’industria Europea per l’idrogeno (delineato nel report Green Hydrogen for a European Green Deal A 2×40 GW Initiative, ndr.), con una road map alla quale si affianca un piano di investimenti che sarà coordinato, secondo le decisioni della Commissione Europea, dalla Clean Hydrogen Alliance. Si tratta, da oggi al 2030, di un programma che prevede la realizzazione di elettrolizzatori (per una previsione di investimento tra i 24 e i 42 miliardi di euro), con una destinazione importantissima di 220-340 miliardi di euro per aumentare e collegare direttamente agli elettrolizzatori 80-120 GW di capacità di produzione di energia solare ed eolica per fornire l’elettricità necessaria. Gli investimenti negli impianti per la cattura e lo stoccaggio della CO2 sono stimati a circa 11 miliardi di euro. Inoltre, saranno necessari investimenti per 65 miliardi di euro per il trasporto, la distribuzione e lo stoccaggio e per le stazioni di rifornimento dell’idrogeno. Ecco, in questo quadro, l’Italia deve fare la propria parte con il massimo impegno e con un forte senso di responsabilità, soprattutto politico e istituzionale.

Perché l’idrogeno rappresenta un elemento cardine dei programmi eco-sostenibili che l’Europa sta spingendo?
Nella transizione energetica che attende il Pianeta, l’idrogeno ha un ruolo fondamentale. Il problema attuale sono gli impianti di produzione dell’idrogeno, che attualmente funzionano secondo processi di steam riforming dal metano. Poi abbiamo una produzione di idrogeno blu che avviene da combustibili fossili come il gas naturale; in questi casi, l’impianto di produzione è accoppiato con un sistema di cattura e di stoccaggio permanente della CO2 prodotta nel processo. La direzione virtuosa da intraprendere è quella del cosiddetto idrogeno verde, che si ottiene attraverso l’elettrolisi dell’acqua in speciali celle elettrochimiche alimentate dall’elettricità prodotta da fonti rinnovabili. L’idrogeno verde è l’unico a cui l’Europa del Recovery Fund dedica attenzione e investimenti, ma va considerato il problema essenziale dei costi di questa tipologia produttiva, superiore di sei volte rispetto a quella di derivazione steam riforming; senza contare l’annoso problema italiano della burocrazia dei permessi che concerne le stesse fonti rinnovabili (pensiamo, ad esempio, all’iter accidentato che potrebbe riguardare l’installazione, nel nostro Paese, di una pala eolica, oppure la creazione di un campo fotovoltaico). La risposta a queste problematiche risiede nel coraggio di cambiare, con la consapevolezza che una transizione così epocale non sarà a costo zero ma produrrà benefici a medio termine di fondamentale importanza, a patto che i decisori e le politiche nazionali tengano saldo il timone della rivoluzione energetica.

Ci può offrire una previsione di futuro a medio termine, con l’idrogeno come protagonista della nostra vita sociale ed economica?
La rivoluzione energetica che coinvolge l’idrogeno è una rivoluzione trasversale. Riguarda la mobilità urbana e transurbana – treni e camion a lunga percorrenza innanzitutto -, un aspetto dell’automotive che presenta già, sul fronte dell’idrogeno, risultati di convenienza e di facilità di approvvigionamento notevolissimi. Riguarderà, poi, le fonti energetiche destinate al campo residenziale, e prima ancora all’industria. Se guardiamo al Fit for 55 – il pacchetto normativo pensato per portare l’Europa, entro il 2030, al 55% in meno di emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 -, possiamo già rilevare che il ruolo dell’idrogeno è considerato importantissimo come vettore energetico del futuro industriale, per un’ipotesi di utilizzo nella misura del 50% di riduzione delle emissioni da combustione. Nello stesso pacchetto, sempre in relazione alla mobilità, si prevedono stazioni di rifornimento dell’idrogeno ogni 150 chilometri sulle reti transeuropee. Nello stesso PNRR, a questo riguardo, è già prevista la costruzione di 40 stazioni a idrogeno sul territorio nazionale e di nove punti di rifornimento per il sistema ferroviario. Si tratta di un inizio che testimonia l’evoluzione positiva di quella stessa rivoluzione energetica che può e deve mettere, con la massima coscienza di necessità, l’idrogeno in primo piano.

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